Coniato da Amy C. Edmondson, professoressa di Leadership e Management alla Harvard Business School, la psychological safety è la percezione, condivisa da tutte le persone di un team, di potersi assumere rischi interpersonali senza il timore di essere umiliati, esclusi o in qualche modo giudicati.

Pensiamo a tutte le volte che, nel lavoro, ma anche a scuola o all’università, ci siamo ritrovati in una posizione in cui avevamo una domanda o un’idea e non l’abbiamo condivisa con il gruppo.

Cosa ci ha trattenuti?

Talvolta, ci frena il timore di essere percepiti come impreparati, incompetenti o inopportuni. Inoltre, in molti contesti si respira un clima poco favorevole alla condivisione: o perchè esistono gerarchie troppo rigide, o perchè alle persone non vengono riconosciuti i dovuti meriti, o magari perchè in generale gli errori vengono fortemente penalizzati e le idee non vengono accolte.

L’importanza della psychological safety come fattore determinante del successo di un team è stata evidenziata anche da Google grazie ai risultati dell’esperimento Project Aristotle. Questo progetto, che per tre anni ha coinvolto e studiato 180 team interni all’azienda, ha fatto emergere che:

  • le caratteristiche individuali (ad esempio, il fatto di condividere interessi, di avere personalità simili) hanno relativamente meno impatto sull’efficacia del team rispetto ai “team norms”, ovvero le abitudini, comportamenti e regole non scritte che caratterizzano le interazioni tra i membri del team;
  • i fattori che più contribuiscono al successo sono cinque. Il primo fattore in assoluto è la psychological safety, seguita da affidabilità, struttura e chiarezza, scopo del lavoro e impatto del lavoro.

Qual è, quindi, l’impatto che la psychological safety ha sull’ingaggio delle persone?

Un modello utile per comprendere queste dinamiche è la seguente matrice.
Foto fonte Peakon.

Sulla linea verticale troviamo il livello di psychological safety, mentre su quella orizzontale il livello di accountability (la responsabilità percepita dal collaboratore rispetto al raggiungimento dei risultati assegnatigli).

Vediamo assieme i quadranti:

  • Apathy Zone – Quando entrambi i fattori sono bassi, ovvero le persone non si sentono libere di esprimere il loro parere e non percepiscono pressione rispetto al raggiungimento di obiettivi, rischiano di sviluppare un senso di apatia. Spesso si collocano in questo quadrante le organizzazioni con un alto livello di burocratizzazione, in cui le persone sono più propense a conformarsi che ad essere propositive.
  • Anxiety Zone – Come indica anche il nome, le persone che lavorano in contesti di bassa psychological safety ma alti livelli di accountability (che quindi sono sotto molta pressione ma non si sentono liberi di esprimere le loro preoccupazioni), spesso provano ansia. Le aziende che si collocano in questo quadrante rischiano di portare le proprie persone al burn out e di avere un alto tasso di turnover.
  • Comfort Zone – In questo scenario le persone godono di un alto livello di psychological safety. Allo stesso tempo, manca la pressione di perseguire risultati eccellenti. È probabile che nelle aziende e team che si collocano in questo quadrante, le persone non siano stressate, ma non si sentano neppure particolarmente sfidate o stimolate a dare il meglio di sé.
  • Learning Zone – Le aziende più innovative e i team più performanti con altissima probabilità si trovano in quest’ultimo quadrante, che è quello ottimale. Ci si aspetta molto dalle persone (accountability) ma allo stesso tempo c’è un clima di apertura in cui le persone si sentono libere di esprimere criticità e contribuire con le proprie idee.
Non bisogna dare per scontato che un clima di psychological safety, specialmente nei contesti aziendali, nasca e prosperi spontaneamente: è una condizione preziosa che va costruita e alimentata attraverso azioni consapevoli. A questo proposito, possiamo fare riferimento alle 4 fasi della psychological safety, approfondite nell’omonimo libro The 4 Stages of Psychological Safety: Defining the Path to Inclusion and Innovation di Timothy R. Clark:
  • innanzitutto, è fondamentale che le persone si sentano incluse e accettate per ciò che sono. Questo vuol dire impegnarsi per creare un senso di appartenenza, riconoscendo e valorizzando le unicità di ciascuno;
  • è poi necessario far sì che le persone si sentano libere di imparare, quindi di poter fare domande, di sbagliare e di poter crescere grazie anche al feedback e al supporto dei colleghi;
  • successivamente, è importante che le persone si sentano libere di contribuire con le loro idee. La differenza la farà il fatto che le persone abbiano lo spazio per condividere e che le loro idee vengano ascoltate e considerate;
  • la svolta finale è quella in cui le persone si sentono libere di sfidare lo status quo. In questa fase, che presuppone il soddisfacimento delle tre anteriori, le persone potranno sollevare dubbi ed esprimere pareri anche contrastanti in modo costruttivo che, nel migliore degli scenari, porterà a un continuo miglioramento dei processi e di innovazione.
Ogni team, così come ogni organizzazione, è composto di persone con stili di pensiero e comportamenti diversi. Collaborare in modo efficace diventa possibile se la cultura valorizza la condivisione delle idee e permette a ciascun membro di essere pienamente se stesso. Come dice la Professoressa Edmondson, “ogni volta che ci tratteniamo nel fare domande blocchiamo l’innovazione e la crescita”.