La perfezione come assenza totale di ogni punto debole rappresenta un ideale che in tanti nella società contemporanea scalpitano per raggiungere. Falsi miti, slogan e modelli standardizzati rendono sempre più difficile alle persone accettare i propri difetti e punti di debolezza.

Non di rado capita che questa visione della realtà si rifletta anche all’interno del mondo del lavoro, dove il mito del Talento descritto da Handfield, Axelrod e Michaels in “The War for Talent” (2001) ha contribuito ad alimentare lo stereotipo del lavoratore ‘eletto’, che con le sue qualità innate riesce ad eccellere in ogni campo e a svolgere qualsiasi compito alla perfezione.

Ti ritieni una persona creativa?

A tal proposito LeAnne Lagasse, formatrice e consulente di cultura aziendale, nel suo articolo “Come parlare delle tue debolezze durante un colloquio di lavoro”, riflette su come la volontà di ottenere un lavoro a tutti i costi porti a volte le persone a presentarsi per quello che non sono. L’autrice infatti racconta di come, durante un colloquio passato, la semplice domanda “Ti ritieni una persona creativa?” le sia stata ‘fatale’: nonostante non si ritenesse tale, cercò in tutti i modi di convincere i suoi intervistatori e se stessa di esserlo.

Il risultato? Non fu richiamata.

Due aspetti su cui riflettere

Alla luce di questo articolo è interessante riflettere su due aspetti:

  • Innanzitutto, l’effetto che determinate domande hanno sull’individuo in situazioni come quella vissuta da LeAnne Lagasse. Per i candidati, i quesiti che indagano la personalità possono a volte toccare delle corde sensibili del loro trascorso, rischiando, tra le altre cose, di indurre la persona a chiudersi e provocando un senso di imbarazzo che potrebbe impedire di far valere i propri punti di forza. Essere consapevoli dei propri punti deboli significa esserlo anche della propria persona nel suo insieme, e quindi anche dei propri punti di forza. Questo riconoscimento non può che portare a una maggiore coscienza nell’uso dei propri ‘talenti’ al servizio degli altri, consapevolezza che il candidato potrà far emergere anche in fase di colloquio.
  • Il secondo aspetto su cui riflettere è l’effetto che ha nelle organizzazioni la valorizzazione degli individui, piuttosto che la ricerca continua della perfezione. Ogni persona possiede delle qualità che la rendono unica, che possono essere portatrici di un valore prezioso per un’organizzazione. Per questo è necessario anche per le aziende cambiare metodo di valutazione e passare dall’assegnazione di un giudizio all’accoglienza e all’osservazione della totalità della persona. Spesso i successi nascono da radici profonde costituite dalla valorizzazione delle risorse a disposizione: quando in un’orchestra, ogni elemento conosce perfettamente il proprio spartito e sa ascoltare e suonare assieme agli altri allora si può raggiungere la perfezione armonica e temporale comune. La bellezza di un team sta nel fatto che ognuno può dare il proprio contributo per sopperire alle mancanze dell’altro.

La stigmatizzazione dei punti deboli

Bisogna quindi scardinare il paradigma della stigmatizzazione dei punti deboli. Un’organizzazione deve soprattutto saper valorizzare il caleidoscopio di peculiarità che ogni persona può portare e lavorare sull’evoluzione dei singoli.

In conclusione, la tipica maschera che indossiamo a colloquio per ottenere un lavoro per cui si pensa di essere tagliati genera sempre risultati controproducenti sia per l’azienda che assume sia per la persona.

Dal punto di vista dell’azienda, puntare sull’umanizzazione dei contesti, a partire dal colloquio di selezione, permetterà di valorizzare il contributo di ognuno per ciò che è, facendo nascere nelle persone la consapevolezza di appartenere a qualcosa che va ben oltre il semplice ‘luogo di lavoro’.

Per il candidato, è essenziale capire se quel determinato posto di lavoro faccia realmente al caso suo, se rispecchia le sue aspettative, i suoi valori, ricordandosi che premia molto di più essere sinceri e realisti, sia con il recruiter, ma soprattutto con se stessi.

È importante agire in un’ottica di ampio respiro, di Ecologia del lavoro, in cui lo scegliere e l’essere scelti siano guidati da principi di consapevolezza e trasparenza. Un cambiamento culturale e sociale sarà possibile proprio a partire dalle organizzazioni e dalle persone che le compongono.