Succede anche a voi di iniziare la giornata con un piano e poi non riuscire a rispettarlo? Stamattina sono arrivata in ufficio prima del solito. Avrei avuto un’ora a disposizione per poter leggere un paio di articoli che mi ero selezionata e iniziare a progettare un intervento di team coaching per un cliente importante. Arrivata in ufficio e acceso il mio pc, mi sono immersa nella lettura ma, 10 minuti dopo, sono stata interrotta da un messaggio WhatsApp a seguito del quale ho aperto l’agenda per verificare spazi e ripianificare degli incontri. Mi sono poi ricordata di altri impegni in “to do list”, dimenticandomi cosa avessi letto i primi 10 minuti della mia giornata in ufficio. La mia ora di anticipo era stata bruciata: iniziava la prima riunione della giornata.

L’esposizione agli infiniti stimoli provenienti dal mondo in cui siamo immersi e derivanti dalle molteplici relazioni, quantità di informazioni, dati da assimilare e tecnologia sempre a portata di palmo, ci porta a stare spesso in superficie a chiudere task. Quasi come a volerci proteggere dalla complessità che ci circonda, rispondiamo a quello che ci arriva addosso, smarcando uno alla volta i flag che molto spesso processiamo secondo l’ordine di arrivo piuttosto che di importanza e priorità.

I più parlano della necessità di avere competenze digitali per sopravvivere in questa epoca. Tuttavia, le competenze che fanno la differenza non sono solo quelle tecniche.

Nel mondo dei social e delle connessioni con una rete globale di persone, le capacità di relazione e di comunicazione sono fondamentali. Così come lo sono le capacità di riflettere e di organizzare il pensiero, che rendono possibile una comunicazione più efficace.

E concentrazione e pianificazione stanno alla base di tutto.

Ci sforziamo per essere veloci e preparati nell’utilizzo della tecnologia ma la moltitudine di stimoli cui siamo sottoposti ci ha resi impazienti e in continuo ascolto di tutto, anche quello che è un disturbo. Compromettendo seriamente la capacità di pianificazione e di concentrazione: di stare sulle cose, di pensarle, meditarle, coglierne i dettagli, andare in profondità e rispettare i propri obiettivi.

Tutto questo va di pari passo con un ambiente di lavoro in piena trasformazione: entro il 2021 – secondo lo studio di IDC nel rapporto Future of Work – il 60% delle aziende Global 2000 (le più grandi aziende quotate al mondo) adotterà quello che la stessa società di analisi definisce “Future WorkSpace“, ovvero un nuovo concetto di spazio di lavoro «in grado di migliorare l’esperienza e la produttività dei dipendenti attraverso un ambiente fisico e virtuale più flessibile, intelligente e collaborativo». Lo spazio di lavoro futuro non sarà «statico o a orari prestabiliti», ma sarà «ovunque, in qualsiasi momento, su ogni device, assecondando, di fatto, l’inclinazione di millennial e nativi digitali».

Secondo IDC, la trasformazione dell’ambiente di lavoro, e della cultura del lavoro più in generale, «costringerà le aziende a cambiare anche il modo di reclutare e misurare i propri dipendenti». La ricerca dice che entro il 2022 il 35% delle aziende sostituirà i tradizionali e datati KPI con i KBI (key behavioral indicator) per misurare la collaborazione, la comunicazione, la capacità di raggiungere i risultati, di risolvere i problemi e di innovare. Gli indicatori utilizzati per misurare la produttività saranno «affiancati da indicatori più moderni che una volta sarebbero stati considerati puri “soft skill” (difficilmente misurabili e quindi meno importanti), ma che oggi sono ritenuti essenziali per raggiungere quei livelli di produttività necessari per soddisfare le richieste dei clienti».

Secondo questa ricerca le aziende dovranno cambiare, oltre allo spazio di lavoro (più virtuale e flessibile), alla forza lavoro (più delocalizzata e connessa) e al modo di lavorare (più agile e intelligente), anche il modo di misurare i collaboratori e, a mio avviso, il modo di ingaggiarli.

Questa 4° rivoluzione industriale porterà la persona al centro, misurandone la qualità – di comportamenti, orientamento e capacità – e mettendo sullo sfondo le componenti più quantitative legate alla produttività.

E torniamo alla concentrazione e alla pianificazione che, come dicevamo, stanno alla base di tutto. Concentrazione significa presenza: essere nel “qui e ora” per ascoltare in maniera attiva, accedere al nostro intuito, attingere alla nostra conoscenza. La pianificazione ci permette, d’altra parte, di programmare le nostre scelte per poterci dedicare e concentrare sui nostri obiettivi senza essere fagocitati dagli eventi.

Mi piace pensare che il lavoro sia come un viaggio e – per goderselo in pieno – è importante esserci: cogliere ogni sfumatura, gustare i sapori, inebriarsi dei profumi, ascoltare i suoni, emozionarsi al tocco e sentirsi pienamente avvolti dall’esperienza.

Nel viaggio tutto questo accade perché l’abbiamo pensato, pianificato e ci siamo ingaggiati, cioè connessi emotivamente e mentalmente.

Nel lavoro che facciamo dovrebbe essere lo stesso.

Dipende in primis da noi: nella scelta del nostro lavoro, scegliamo la nostra meta e le nostre tappe. È una nostra responsabilità scegliere. E quindi pianificare, connettersi e concentrarsi. E dipende dalle organizzazioni in cui collaboriamo, che ci possono mettere a disposizione esperienze più o meno ingaggianti.

Quindi, se è vero che l’era digitale porta con sé nuove capacità tecniche, è anche vero che le “soft skill” diventeranno sempre più importanti.

Le aziende svilupperanno nuove metriche per misurare le persone su aspetti più “human” ma dovranno anche progettare e realizzare esperienze che permettano alle persone di essere connesse emotivamente e mentalmente richiedendo a queste ultime di allenare la concentrazione e la presenza, per vivere appieno le esperienze messe a disposizione.

E così il lavoro nel “qui e ora” diventa una tappa del nostro viaggio.